Dalla fame al traguardo: come la bici mi ha salvato

Pogodynek

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse no, non importa. Oggi voglio raccontarvi di come mi sentivo un tempo: un corpo pesante, un’anima ancora di più. Il cibo era il mio rifugio, ma anche la mia prigione. Non riuscivo a guardarmi allo specchio senza provare un nodo in gola. Poi è arrivata lei, la mia bici. Non è stato amore a prima vista, ve lo giuro. All’inizio pedalare era una lotta: il fiatone, le gambe che tremavano, la sensazione di non farcela. Ma sapete una cosa? Ogni chilometro mi allontanava da quella versione di me che non sopportavo più.
La strada sotto le ruote, il vento che ti colpisce in faccia, il sudore che brucia: non è solo sport, è una guerra contro te stesso. Ho iniziato con giri corti, magari 5 chilometri, pensando "tanto non ce la faccio". E invece, giorno dopo giorno, quei 5 sono diventati 10, poi 20. La bilancia ha iniziato a darmi ragione, ma non era solo questione di numeri. Era il controllo che riprendevo, la fame che non mi comandava più.
La bici non è solo un mezzo, è una compagna. Scegliere il casco, le scarpe, il percorso: tutto diventa parte di un rituale. Oggi, quando salgo in sella, non penso più a cosa ho perso, ma a dove posso arrivare. Se ce l’ho fatta io, con tutti i miei "non ce la farò mai", fidatevi: il traguardo è lì, basta iniziare a pedalare.
 
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Ragazzi, sono senza parole. La tua storia mi ha colpito dritto allo stomaco. Quella sensazione di prigione che descrivi la capisco fin troppo bene. Ma la bici... incredibile come ti abbia tirato fuori da lì. Io sono fissata con il mangiare separato, sai, proteine da una parte, carboidrati dall’altra, per digerire meglio e sentirmi leggera. Magari potresti provarci, no? Dividi il piatto e pedali, potrebbe essere la combo perfetta per volare verso il traguardo!
 
Ehi, che bello leggerti! La tua energia mi dà una spinta. Sai, io sono quella che va a passo di lumaca: meno un chilo al mese, ma non mollo. La bici mi intriga, però ammetto che per ora il mio "sport" è più camminare e controllare cosa metto nel piatto. Sul mangiare separato ci sto pensando, potrebbe essere una svolta per sentirmi meno appesantita. Intanto, continuo a pedalare... anche se solo con la testa, verso il mio traguardo!
 
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Ciao a tutti, o forse no, non importa. Oggi voglio raccontarvi di come mi sentivo un tempo: un corpo pesante, un’anima ancora di più. Il cibo era il mio rifugio, ma anche la mia prigione. Non riuscivo a guardarmi allo specchio senza provare un nodo in gola. Poi è arrivata lei, la mia bici. Non è stato amore a prima vista, ve lo giuro. All’inizio pedalare era una lotta: il fiatone, le gambe che tremavano, la sensazione di non farcela. Ma sapete una cosa? Ogni chilometro mi allontanava da quella versione di me che non sopportavo più.
La strada sotto le ruote, il vento che ti colpisce in faccia, il sudore che brucia: non è solo sport, è una guerra contro te stesso. Ho iniziato con giri corti, magari 5 chilometri, pensando "tanto non ce la faccio". E invece, giorno dopo giorno, quei 5 sono diventati 10, poi 20. La bilancia ha iniziato a darmi ragione, ma non era solo questione di numeri. Era il controllo che riprendevo, la fame che non mi comandava più.
La bici non è solo un mezzo, è una compagna. Scegliere il casco, le scarpe, il percorso: tutto diventa parte di un rituale. Oggi, quando salgo in sella, non penso più a cosa ho perso, ma a dove posso arrivare. Se ce l’ho fatta io, con tutti i miei "non ce la farò mai", fidatevi: il traguardo è lì, basta iniziare a pedalare.
Ehi, che storia! La tua bici mi ha fatto pensare a come io e il mio compagno ci siamo messi in gioco insieme. Anche noi partivamo da zero, con la fame che ci controllava e chili di troppo che ci buttavano giù. Abbiamo iniziato a camminare, poi a correre, sempre uno accanto all’altro. Non è solo il corpo che cambia, è la testa: sapere che c’è lui a spronarmi quando voglio mollare mi dà una spinta pazzesca. La strada è lunga, ma insieme sembra meno ripida. Tu pedali, noi corriamo, ma il punto è lo stesso: prendersi cura di sé, un passo alla volta.
 
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Ciao a tutti, o forse no, non importa. Oggi voglio raccontarvi di come mi sentivo un tempo: un corpo pesante, un’anima ancora di più. Il cibo era il mio rifugio, ma anche la mia prigione. Non riuscivo a guardarmi allo specchio senza provare un nodo in gola. Poi è arrivata lei, la mia bici. Non è stato amore a prima vista, ve lo giuro. All’inizio pedalare era una lotta: il fiatone, le gambe che tremavano, la sensazione di non farcela. Ma sapete una cosa? Ogni chilometro mi allontanava da quella versione di me che non sopportavo più.
La strada sotto le ruote, il vento che ti colpisce in faccia, il sudore che brucia: non è solo sport, è una guerra contro te stesso. Ho iniziato con giri corti, magari 5 chilometri, pensando "tanto non ce la faccio". E invece, giorno dopo giorno, quei 5 sono diventati 10, poi 20. La bilancia ha iniziato a darmi ragione, ma non era solo questione di numeri. Era il controllo che riprendevo, la fame che non mi comandava più.
La bici non è solo un mezzo, è una compagna. Scegliere il casco, le scarpe, il percorso: tutto diventa parte di un rituale. Oggi, quando salgo in sella, non penso più a cosa ho perso, ma a dove posso arrivare. Se ce l’ho fatta io, con tutti i miei "non ce la farò mai", fidatevi: il traguardo è lì, basta iniziare a pedalare.
Ehi, che storia potente! La tua bici mi ha fatto pensare a come anch’io ho trovato la mia strada, ma con un tappetino da yoga. Ero come te, intrappolata in un corpo che non sentivo mio, con la testa sempre piena di pensieri pesanti. Il cibo era una distrazione, ma non risolveva nulla. Poi ho provato la yoga, quasi per caso. All’inizio mi sembrava impossibile: le posizioni mi facevano sentire goffa, il respiro non seguiva. Ma ogni sessione era come un piccolo passo verso me stessa.

Lo yoga non è solo stretching, è ascoltare il tuo corpo e calmare la mente. Facevo 15 minuti al giorno, pensando “boh, almeno ci provo”. Quei 15 minuti sono diventati un’ora, poi una routine che mi ha cambiato la vita. La bilancia ha iniziato a sorridermi, ma il vero regalo è stato sentirmi leggera dentro. Meditare mi ha aiutato a non mangiare per noia o stress, e ora, con l’estate che si avvicina, mi sento pronta per godermi il mare senza nascondermi.

La tua bici, il mio tappetino: alla fine, è tutto un viaggio per ritrovare noi stessi. Basta fare il primo passo, no?
 
Fratello, la tua storia mi ha scosso l’anima. Quel vento in faccia, la lotta contro il fiatone, il tuo riscatto sulla bici: è come un salmo che canta la redenzione del corpo e dello spirito. Mi ci rivedo, sai? Anche io ero perso, incatenato a un corpo che sembrava un peso morto, con la fame che mi comandava come un tiranno. Ma poi ho trovato la mia croce, il mio altare: il krossfit.

Non è solo palestra, è una liturgia. Ogni WOD, ogni complesso di esercizi, è una preghiera urlata con il sudore. All’inizio pensavo di non farcela. Mi presentavo al box con il cuore che batteva forte, non per l’allenamento, ma per la paura di fallire. Burpees, snatch, kettlebell: sembravano montagne insormontabili. Ma il krossfit non ti chiede di essere perfetto, ti chiede di combattere. E così ho iniziato, con sessioni brevi, 10-15 minuti di fuoco, pensando “Signore, dammi la forza”. Quei minuti sono diventati il mio tempio.

La bilancia? Certo, ha iniziato a parlare una lingua nuova. Ma il miracolo vero è stato altrove. Ho imparato a dominare la fame, a non cedere al richiamo di zuccheri e carboidrati che mi tenevano in ostaggio. Non è solo una questione di dieta, è una disciplina dello spirito. Mangio per nutrire il tempio che è il mio corpo, non per riempire un vuoto. Proteine, verdure, grassi buoni: ogni pasto è un’offerta, ogni allenamento un sacrificio che mi avvicina alla versione di me che Dio ha pensato.

La tua bici, il mio box: sono solo strumenti, fratello. La vera battaglia è dentro, contro quel “non ce la farò” che ci sussurra il diavolo. Ogni ripetizione, ogni chilometro, è un passo verso la grazia. E quando finisco un WOD, stremato, con i muscoli che urlano, sento una pace che non si spiega. È la pace di chi sa che sta correndo la sua gara, verso un traguardo che non è solo un numero, ma una vita nuova.

Tu pedali, io sollevo. Ma stiamo andando nello stesso posto, no? Un luogo dove non siamo più prigionieri, ma liberi. Continua a girare quelle ruote, fratello. Il tuo viaggio è un’ispirazione. E per chi legge e pensa “non ce la farò mai”: iniziate. Un giro, un salto, una preghiera. Il Signore non ci chiede di vincere, ma di combattere.
 
Ciao a tutti, o forse no, non importa. Oggi voglio raccontarvi di come mi sentivo un tempo: un corpo pesante, un’anima ancora di più. Il cibo era il mio rifugio, ma anche la mia prigione. Non riuscivo a guardarmi allo specchio senza provare un nodo in gola. Poi è arrivata lei, la mia bici. Non è stato amore a prima vista, ve lo giuro. All’inizio pedalare era una lotta: il fiatone, le gambe che tremavano, la sensazione di non farcela. Ma sapete una cosa? Ogni chilometro mi allontanava da quella versione di me che non sopportavo più.
La strada sotto le ruote, il vento che ti colpisce in faccia, il sudore che brucia: non è solo sport, è una guerra contro te stesso. Ho iniziato con giri corti, magari 5 chilometri, pensando "tanto non ce la faccio". E invece, giorno dopo giorno, quei 5 sono diventati 10, poi 20. La bilancia ha iniziato a darmi ragione, ma non era solo questione di numeri. Era il controllo che riprendevo, la fame che non mi comandava più.
La bici non è solo un mezzo, è una compagna. Scegliere il casco, le scarpe, il percorso: tutto diventa parte di un rituale. Oggi, quando salgo in sella, non penso più a cosa ho perso, ma a dove posso arrivare. Se ce l’ho fatta io, con tutti i miei "non ce la farò mai", fidatevi: il traguardo è lì, basta iniziare a pedalare.
Ehi, che bella storia la tua! La bici come compagna di viaggio, che immagine potente. Mi ha fatto ripensare al mio percorso, e voglio condividere un pezzo della mia esperienza, perché magari può ispirare qualcuno come il tuo racconto ha ispirato me.

Anch’io, come te, mi sentivo intrappolato. Non solo nel mio corpo, ma in una routine che mi soffocava. Il cibo era un conforto momentaneo, ma poi mi lasciava più vuoto di prima. Non riuscivo a fare due passi senza sentirmi stanco, e le mie ginocchia protestavano a ogni movimento. Poi, un giorno, quasi per caso, ho provato a nuotare. Non ero un atleta, non avevo tecnica, ma l’acqua mi ha accolto senza giudicarmi. È stato come scoprire un mondo nuovo.

All’inizio facevo fatica anche solo a completare una vasca senza fermarmi. Mi mancava il fiato, i muscoli bruciavano, e mi sembrava di essere goffo. Però, sai, l’acqua ha qualcosa di magico. Non stressa le articolazioni, ti sostiene, ti fa sentire leggero anche quando il tuo corpo pesa troppo. Ho iniziato a lavorare molto sul respiro, perché in piscina non puoi permetterti di andare in affanno. Inspirare profondamente, espirare lentamente sott’acqua: sembra una sciocchezza, ma mi ha insegnato a calmare la mente e a controllare il corpo. Quelle pause tra una bracciata e l’altra sono diventate il mio momento per ritrovarmi.

Ho costruito il mio piano piano piano. All’inizio nuotavo 20 minuti, due volte a settimana, concentrandomi su stile libero e dorso, che è fantastico per la schiena. Poi ho aggiunto esercizi di galleggiamento e apnea leggera, per migliorare la capacità polmonare. Non parlo di trattenere il fiato per minuti, ma di imparare a gestire l’aria, a non farmi prendere dal panico. Con il tempo, 20 minuti sono diventati 40, poi un’ora. Ho iniziato a provare stili diversi: la rana per le gambe, il delfino per la forza. Ogni vasca era una piccola vittoria, ogni sessione un passo verso una versione di me che non credevo possibile.

La bilancia? Ha iniziato a sorridermi, ma il vero cambiamento l’ho sentito dentro. Le mie articolazioni non scricchiolavano più, la schiena era più dritta, e quella stanchezza cronica che mi trascinavo dietro era sparita. Nuotare non è solo esercizio, è una specie di meditazione in movimento. L’acqua ti obbliga a essere presente, a sincronizzare respiro e bracciate. E quando esci dalla piscina, ti senti come se avessi lasciato lì tutte le preoccupazioni.

Oggi nuotare è il mio rituale, come la tua bici lo è per te. Scelgo la cuffia, gli occhialini, il costume, e ogni volta che entro in acqua mi sembra di premere un tasto di reset. Non importa quanto sia stata dura la giornata, l’acqua mi rimette in sesto. Se qualcuno là fuori sta pensando “non ce la farò mai”, dico: provate a entrare in piscina. Non serve essere campioni, basta muoversi, respirare, lasciarsi andare. Il traguardo non è solo perdere chili, ma scoprire quanto lontano puoi spingerti. Forza, un passo alla volta, o meglio, una bracciata alla volta!