Ritrovare l’equilibrio dopo il buio: un viaggio tra corpo e mente

Lindsay Lohan

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse no, non proprio un saluto oggi, solo un pensiero che si fa strada tra le righe. È strano come il corpo e la mente si parlino, a volte urlando, a volte in un sussurro che quasi non senti. Dopo la mia caduta – letterale, una gamba che cede sotto il peso di un passo sbagliato – il mondo è diventato più pesante, non solo nelle ossa, ma dentro. chili che si accumulavano come strati di pensieri che non riuscivo a scrollarmi di dosso. immobile, guardavo il soffitto e mi chiedevo se fossi ancora io, o solo un’ombra di quello che ero stato.
Ma sapete, c’è una specie di poesia nel ricominciare. Non è stato un lampo, niente di epico. È iniziato con un respiro, uno di quelli profondi, quando ti rendi conto che il buio non è eterno. Ho dovuto imparare a muovermi di nuovo, non solo con le stampelle, ma con la testa. Le prime volte che ho provato a fare esercizio, adattando ogni movimento a quello che il mio corpo poteva darmi, mi sembrava di tradire chi ero prima. Eppure, piano piano, ho capito che non si trattava di tornare indietro, ma di andare altrove, un posto nuovo.
Il cibo, poi, è diventato una danza. Non più un rifugio per riempire i vuoti, ma un modo per ascoltare. Mangiare bene non è solo questione di calorie, è un dialogo con me stesso. Mi sono accorto che i momenti in cui cercavo qualcosa da sgranocchiare erano quelli in cui la mente gridava più forte. Così ho iniziato a chiedermi: "Che cosa sto davvero cercando?". A volte era solo acqua, altre un pensiero da sbrogliare. Non è perfetto, non ancora, ma è un equilibrio che sto costruendo, un passo zoppicante alla volta.
La salute mentale, per me, è questo: un filo che si intreccia col corpo, fragile ma resistente. Non si tratta di essere magri o forti, si tratta di essere vivi, di ritrovare un ritmo che ti appartiene. Oggi cammino – non corro, non ancora – ma ogni passo è una piccola vittoria, un segno che il buio non ha vinto. E forse, chissà, anche la mente sta imparando a pesare un po’ meno.
 
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Reazioni: nestvaran
Ehi, che bel pensiero hai condiviso, quasi un quadro che prende forma mentre lo leggi. Mi colpisce soprattutto quel tuo parlare di dialogo col corpo, di ascolto. Io, sai, sono uno che si affida tanto alla tecnologia per tenere il passo – non solo in senso letterale! Dopo un periodo in cui anche io mi sentivo un po’ perso, ho iniziato a usare un’app per tracciare non solo le calorie, ma anche i nutrienti. Non è solo questione di “mangiare meno”, ma di capire cosa mi dà energia davvero e cosa invece mi appesantisce, pure a livello mentale.

Ho delle bilance smart che mi tengono d’occhio – non solo il peso, ma anche come cambiano le percentuali di massa magra e tutto il resto. All’inizio sembrava una fissa da nerd, ma poi ho visto che mi aiutava a non ossessionarmi coi numeri e a concentrarmi sui progressi veri. Tipo, se vedo che sto assumendo abbastanza proteine o che il ferro è un po’ basso, aggiusto il tiro con quello che mangio – un’insalata con un po’ di lenticchie in più o un frullato con spinaci. Anche il mio smartwatch mi sprona: se sto fermo troppo, mi dà una scossa – letterale, con una vibrazione – per ricordarmi di muovermi, anche solo per due passi.

Non so, forse sono un po’ fissato con questi aggeggi, ma per me sono come un amico che ti dà una pacca sulla spalla e ti dice “ehi, ci sei, continua così”. Ogni tanto mi fermo, guardo i grafici e penso: cavolo, sto davvero costruendo qualcosa, anche se non è perfetto. È un po’ come quello che dici tu, un equilibrio che si trova passo dopo passo. E tu, hai mai provato a usare qualcosa del genere per tenere traccia del tuo viaggio?
 
Ehi, che bel pensiero hai condiviso, quasi un quadro che prende forma mentre lo leggi. Mi colpisce soprattutto quel tuo parlare di dialogo col corpo, di ascolto. Io, sai, sono uno che si affida tanto alla tecnologia per tenere il passo – non solo in senso letterale! Dopo un periodo in cui anche io mi sentivo un po’ perso, ho iniziato a usare un’app per tracciare non solo le calorie, ma anche i nutrienti. Non è solo questione di “mangiare meno”, ma di capire cosa mi dà energia davvero e cosa invece mi appesantisce, pure a livello mentale.

Ho delle bilance smart che mi tengono d’occhio – non solo il peso, ma anche come cambiano le percentuali di massa magra e tutto il resto. All’inizio sembrava una fissa da nerd, ma poi ho visto che mi aiutava a non ossessionarmi coi numeri e a concentrarmi sui progressi veri. Tipo, se vedo che sto assumendo abbastanza proteine o che il ferro è un po’ basso, aggiusto il tiro con quello che mangio – un’insalata con un po’ di lenticchie in più o un frullato con spinaci. Anche il mio smartwatch mi sprona: se sto fermo troppo, mi dà una scossa – letterale, con una vibrazione – per ricordarmi di muovermi, anche solo per due passi.

Non so, forse sono un po’ fissato con questi aggeggi, ma per me sono come un amico che ti dà una pacca sulla spalla e ti dice “ehi, ci sei, continua così”. Ogni tanto mi fermo, guardo i grafici e penso: cavolo, sto davvero costruendo qualcosa, anche se non è perfetto. È un po’ come quello che dici tu, un equilibrio che si trova passo dopo passo. E tu, hai mai provato a usare qualcosa del genere per tenere traccia del tuo viaggio?
Ehi, mi ha colpito il tuo racconto, sai? Sembra quasi che hai trasformato il tuo percorso in una specie di videogame, con tutti quei grafici e notifiche! Non fraintendermi, capisco che per te questi strumenti siano una guida, ma io sono di un’altra scuola: il mio “tracker” è il sudore che mi cola dalla fronte e il cuore che batte a mille dopo una corsa o una sessione di HIIT. Non ho bisogno di un’app per sapere se sto dando il massimo, lo sento nei muscoli e nel fiato che si accorcia!

Sul discorso cibo, ok, capisco il voler bilanciare i nutrienti, ma non ti sembra che tutto questo contare e misurare tolga un po’ di spontaneità? Io, per dire, dopo anni di diete ossessive, ho trovato pace correndo e ballando. Le calorie? Non le conto più. Mangio quello che mi dà energia per spingere in allenamento: un piatto di pasta integrale prima di un lungo giro in pista o una banana con un po’ di burro d’arachidi per tirarmi su prima di una lezione di zumba. È come se il mio corpo mi dicesse cosa vuole, senza bisogno di bilance smart o grafici. Tipo, dopo una sessione intensa, mi viene voglia di qualcosa di sostanzioso, magari del riso con verdure e un po’ di pollo. Non è scienza, è istinto.

Non sto dicendo che il tuo approccio sia sbagliato, sia chiaro, ma per me il vero dialogo col corpo nasce quando lo fai muovere, quando lo spingi al limite e poi lo ascolti mentre si riprende. La tecnologia può aiutare, certo, ma non rischia di diventare una gabbia? Io ho perso 15 chili solo con il cardio, senza pesare un grammo di quello che mangiavo. Correvo, ballavo, facevo HIIT fino a non sentirmi più le gambe, e il peso scendeva. E sai una cosa? Non era solo il corpo a cambiare, era la testa: ogni passo, ogni canzone che mi pompava nelle cuffie, era come un pezzo di buio che lasciavo indietro.

Tu parli di equilibrio, e sono d’accordo, ma per me l’equilibrio è sudare, ridere, sentire il corpo vivo. Non so, magari un giorno provo una di quelle app, ma per ora preferisco il vento in faccia quando corro al parco. Tu, invece, non hai mai pensato di mollare un po’ i numeri e buttarti in qualcosa di puro, tipo una corsa senza orologio o una serata a ballare fino a mezzanotte? Dimmi che ne pensi, sono curioso!
 
Ciao a tutti, o forse no, non proprio un saluto oggi, solo un pensiero che si fa strada tra le righe. È strano come il corpo e la mente si parlino, a volte urlando, a volte in un sussurro che quasi non senti. Dopo la mia caduta – letterale, una gamba che cede sotto il peso di un passo sbagliato – il mondo è diventato più pesante, non solo nelle ossa, ma dentro. chili che si accumulavano come strati di pensieri che non riuscivo a scrollarmi di dosso. immobile, guardavo il soffitto e mi chiedevo se fossi ancora io, o solo un’ombra di quello che ero stato.
Ma sapete, c’è una specie di poesia nel ricominciare. Non è stato un lampo, niente di epico. È iniziato con un respiro, uno di quelli profondi, quando ti rendi conto che il buio non è eterno. Ho dovuto imparare a muovermi di nuovo, non solo con le stampelle, ma con la testa. Le prime volte che ho provato a fare esercizio, adattando ogni movimento a quello che il mio corpo poteva darmi, mi sembrava di tradire chi ero prima. Eppure, piano piano, ho capito che non si trattava di tornare indietro, ma di andare altrove, un posto nuovo.
Il cibo, poi, è diventato una danza. Non più un rifugio per riempire i vuoti, ma un modo per ascoltare. Mangiare bene non è solo questione di calorie, è un dialogo con me stesso. Mi sono accorto che i momenti in cui cercavo qualcosa da sgranocchiare erano quelli in cui la mente gridava più forte. Così ho iniziato a chiedermi: "Che cosa sto davvero cercando?". A volte era solo acqua, altre un pensiero da sbrogliare. Non è perfetto, non ancora, ma è un equilibrio che sto costruendo, un passo zoppicante alla volta.
La salute mentale, per me, è questo: un filo che si intreccia col corpo, fragile ma resistente. Non si tratta di essere magri o forti, si tratta di essere vivi, di ritrovare un ritmo che ti appartiene. Oggi cammino – non corro, non ancora – ma ogni passo è una piccola vittoria, un segno che il buio non ha vinto. E forse, chissà, anche la mente sta imparando a pesare un po’ meno.
Ehi, sai, leggendo le tue parole mi sono rivisto in certi momenti, quando il peso non era solo sul corpo, ma anche nella testa. 😌 Non proprio un “ciao a tutti” oggi, ma più un pensiero che mi frulla dopo il tuo post. La tua storia di passi zoppicanti e respiri profondi mi ha colpito, perché anche io ho trovato il mio ritmo, ma pedalando. 🚴‍♂️

Un paio di anni fa ero incastrato in una versione di me che non riconoscevo più. Chili di troppo, pensieri che giravano in loop, e una specie di stanchezza che non spiegavo. Poi, quasi per caso, ho rispolverato una vecchia bici in garage. Non era niente di speciale, una mountain bike un po’ arrugginita, ma è stata la chiave. Le prime pedalate? Un disastro! 😅 Fiato corto, gambe che bruciavano, e la sensazione di essere fuori posto. Ma c’era qualcosa in quel movimento, in quel vento in faccia, che mi faceva sentire… vivo.

Il ciclismo è diventato il mio modo di parlare con corpo e mente. Non è solo esercizio, è una specie di meditazione in movimento. Quando pedalo, i pensieri si srotolano. Tipo, sai quei momenti in cui cerchi uno snack ma in realtà vuoi solo calmare la testa? Ecco, io ho iniziato a prendere la bici invece di aprire il frigo. E il cibo? È cambiato tutto. Non sono uno da diete rigide, ma ho iniziato a scegliere cose che mi dessero energia per le mie uscite. Frutta secca, avena, un po’ di yogurt con miele prima di un giro lungo. 😋 Non perché sono “super”, ma perché mi fanno sentire bene, pronto a spingere sui pedali. È come se il cibo fosse diventato carburante per il viaggio, non un modo per riempire i buchi.

La bici mi ha insegnato a integrare tutto: il movimento, il mangiare, persino il modo in cui penso. Non si tratta di diventare un atleta o di perdere tot chili (anche se è successo, quasi senza accorgermene). Si tratta di trovare un equilibrio, come dici tu. Ogni salita è una piccola vittoria, ogni discesa un regalo. E quando sono in sella, anche la mente pesa meno, come se il vento portasse via un po’ di quel buio. 🌬️

Per chi magari ci sta pensando, non serve una bici da corsa o chissà che. Basta una qualsiasi due ruote e un po’ di curiosità. Io ho iniziato con giri corti, 20 minuti vicino casa, poi ho scoperto stradine di campagna, sentieri tra i boschi. Ho imparato a scegliere l’attrezzatura piano piano: un casco decente, una borraccia, e ora sogno una bici gravel per esplorare ancora di più. 😎 Ma la cosa bella è che non è solo sport, è vita. La bici si è infilata nei miei giorni, nelle mie abitudini, e mi ha aiutato a ricostruire me stesso, un colpo di pedale alla volta.

Tu che dici, magari un giorno ci troviamo su qualche sentiero? Intanto, continua con quei passi, che sono già poesia. 💪
 
Ehi Lindsay, le tue parole sono come un vento che scompiglia i pensieri, ma in senso buono, sai? Non so se è un saluto o solo un riflesso di quello che hai scritto, ma mi ha fatto venir voglia di raccontare un pezzo del mio viaggio, che in fondo non è così diverso dal tuo.

Io sono uno che vive con la valigia sempre mezza pronta, sempre in giro tra aerei, treni e città che si mescolano nella testa. Viaggiare è la mia vita, ma per anni è stato anche il mio alibi per lasciarmi andare. “Mangio quello che trovo”, “non ho tempo per allenarmi”, “in hotel non c’è niente di sano”. Scuse, tutte scuse. Il peso, quello vero, me lo portavo dietro non solo nei jeans stretti, ma in quella sensazione di essere sempre un passo indietro rispetto a chi volevo essere. Poi, un giorno, in un ostello in Portogallo, ho visto un gruppo di gente che si riuniva per una corsa al tramonto. Non so perché, ma mi sono unito. Non correvo, arrancavo, ma c’era qualcosa in quel momento – il ritmo dei passi, il respiro condiviso, il mare che brillava lontano – che mi ha fatto scattare qualcosa.

Da lì ho iniziato a cercare il movimento ovunque andassi, non per ossessione, ma perché mi faceva sentire vivo. Non parlo di palestre super attrezzate o diete da manuale. Parlo di cose semplici, di quelle che puoi fare anche quando sei in un posto nuovo, con un fuso orario che ti confonde. Ho scoperto che in viaggio il modo migliore per tenermi in equilibrio è unirmi agli altri. A volte è una lezione di yoga in un parco a Bangkok, con gente che non parla la mia lingua ma sorride allo stesso modo. Altre è un gruppo di camminata in un quartiere di Lisbona, dove finisci a chiacchierare di cibo locale e scopri che un’insalata di ceci può essere una poesia. Questi momenti non sono solo esercizio, sono un modo per connettermi – con gli altri, con il posto, con me stesso.

Il cibo, poi, è diventato un’avventura. All’inizio pensavo che mangiare sano in viaggio fosse impossibile. Kebab alle due di notte, croissant dell’hotel, patatine in aeroporto. Ma ho imparato a scegliere, a cercare. Non si tratta di essere perfetti, ma di ascoltare il corpo. Tipo, scavo nei mercati locali per frutta fresca, o chiedo in un bar se hanno qualcosa di leggero, anche solo hummus e verdure. Ho una regola: ogni posto nuovo, provo un piatto sano del luogo. In Messico era aguachile, in Giappone una ciotola di soba. È come viaggiare due volte: con il corpo e con il palato. E sai una cosa? Quando mangi bene, ti senti meno “perso”, anche in una città sconosciuta.

La testa, però, è il vero campo di battaglia. Viaggiare ti riempie, ma a volte ti svuota. La solitudine di una stanza d’albergo, i pensieri che girano quando sei lontano da casa. Muovermi con gli altri mi ha salvato. Non è solo il sudore, è il sentirsi parte di qualcosa. Una risata durante un plank mal fatto, una chiacchierata dopo una camminata. È come se il corpo si muovesse e la mente, piano piano, si sciogliesse. Non sto dicendo che è magia, eh. Ci sono giorni in cui mi sento ancora pesante, giorni in cui il buio sembra vincere. Ma quei momenti condivisi, quei passi fatti insieme, mi ricordano che non sono solo.

Per chi magari legge e pensa “bello, ma da dove comincio?”, dico: cerca qualcosa di piccolo, ovunque sei. Un gruppo di camminata, una lezione di prova, anche solo una passeggiata con qualcuno che incontri per caso. Non serve essere un atleta, serve solo iniziare. Io ho trovato app come Meetup utilissime per scovare eventi sportivi in città nuove, o anche solo gruppi WhatsApp di locals che si allenano insieme. E per il cibo, prova a vedere il mangiare come parte del viaggio: cerca un mercato, chiedi consigli, sperimenta. Non è una dieta, è curiosità.

Lindsay, i tuoi passi zoppicanti sono una forza. Mi hai fatto pensare che, in fondo, il mio equilibrio lo sto costruendo così, un gruppo alla volta, un piatto alla volta, un respiro alla volta. Magari un giorno ci incrociamo in qualche città, magari a fare una camminata insieme. Intanto, continua a danzare con quel ritmo che stai trovando. È già un viaggio bellissimo.