Riflessioni sul piatto: equilibrio, porzioni e il cammino verso un corpo in armonia

Mr Sky

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse meglio dire buongiorno al piatto che ci guida! Oggi mi sono fermata a riflettere davanti alla mia insalatiera, mentre dividevo gli spazi: metà per le verdure croccanti, un quarto per il pollo che profumava di rosmarino, e l’altro quarto per quel riso integrale che sembra quasi sussurrarmi “equilibrio”. Non è solo un metodo, sapete? È un dialogo con noi stessi, un lento imparare ad ascoltare cosa ci serve davvero.
All’inizio pensavo fosse solo una questione di numeri: calorie, grammi, porzioni. Ma più vado avanti, più mi rendo conto che è una specie di danza. Riempio la mia metà di zucchine grigliate e pomodorini, e mi sembra di dipingere un quadro, non solo di nutrire il corpo. Il bianco del pollo diventa una promessa di forza, il marrone del riso un ancoraggio alla terra. E sì, lo confesso, ogni tanto sogno una porzione doppia di carboidrati, ma poi mi fermo e penso: “Sto costruendo armonia, non solo un pasto”.
Le foto che scatto non sono perfette – a volte la luce è sbagliata, a volte il piatto è un po’ caotico – ma sono mie, e raccontano un cammino. Oggi ho postato una ciotola con cavolo rosso, tacchino e un po’ di quinoa: niente di spettacolare, eppure mi ha fatto sorridere. Perché? Perché sto imparando a volermi bene un passo alla volta, una forchettata alla volta. Non è solo il corpo che si trasforma – anche se, diciamolo, sento i jeans un po’ più comodi 😉 – è il modo in cui vedo me stessa.
Qualcuno di voi si è mai chiesto: “Ma questa ‘metà ta-rel-ka’ è davvero per me?” Io sì, mille volte. Eppure, continuo. È come scolpire una statua: non vedi il risultato subito, ma ogni colpo di scalpello conta. E mentre le verdure occupano il loro spazio, sento che sto dando spazio anche a una versione più leggera di me, dentro e fuori.
Fatemi sapere cosa ne pensate, magari con una foto del vostro piatto filosofico! 🌿🍗🍚
 
Ciao a tutti, o forse meglio dire buongiorno al piatto che ci guida! Oggi mi sono fermata a riflettere davanti alla mia insalatiera, mentre dividevo gli spazi: metà per le verdure croccanti, un quarto per il pollo che profumava di rosmarino, e l’altro quarto per quel riso integrale che sembra quasi sussurrarmi “equilibrio”. Non è solo un metodo, sapete? È un dialogo con noi stessi, un lento imparare ad ascoltare cosa ci serve davvero.
All’inizio pensavo fosse solo una questione di numeri: calorie, grammi, porzioni. Ma più vado avanti, più mi rendo conto che è una specie di danza. Riempio la mia metà di zucchine grigliate e pomodorini, e mi sembra di dipingere un quadro, non solo di nutrire il corpo. Il bianco del pollo diventa una promessa di forza, il marrone del riso un ancoraggio alla terra. E sì, lo confesso, ogni tanto sogno una porzione doppia di carboidrati, ma poi mi fermo e penso: “Sto costruendo armonia, non solo un pasto”.
Le foto che scatto non sono perfette – a volte la luce è sbagliata, a volte il piatto è un po’ caotico – ma sono mie, e raccontano un cammino. Oggi ho postato una ciotola con cavolo rosso, tacchino e un po’ di quinoa: niente di spettacolare, eppure mi ha fatto sorridere. Perché? Perché sto imparando a volermi bene un passo alla volta, una forchettata alla volta. Non è solo il corpo che si trasforma – anche se, diciamolo, sento i jeans un po’ più comodi 😉 – è il modo in cui vedo me stessa.
Qualcuno di voi si è mai chiesto: “Ma questa ‘metà ta-rel-ka’ è davvero per me?” Io sì, mille volte. Eppure, continuo. È come scolpire una statua: non vedi il risultato subito, ma ogni colpo di scalpello conta. E mentre le verdure occupano il loro spazio, sento che sto dando spazio anche a una versione più leggera di me, dentro e fuori.
Fatemi sapere cosa ne pensate, magari con una foto del vostro piatto filosofico! 🌿🍗🍚
Ehi, buongiorno al tuo piatto parlante e al suo sussurro di equilibrio! Devo dirtelo, leggerti mentre dipingi la tua insalatiera come fosse una tela di Botticelli mi ha fatto quasi venir voglia di meditare davanti al mio frigo. Quasi. Perché, diciamocelo, questa danza delle porzioni a volte sembra più un tango scoordinato che un valzer armonioso. Metà verdure, un quarto proteine, un quarto carboidrati… e un’intera testa che urla “ma una fetta di pizza non ci starebbe male, no?”

Io e il mio “piatto filosofico” abbiamo un rapporto complicato. Tipo, ieri ho provato a fare la brava: zucchine grigliate, petto di tacchino che sembrava uscito da un manuale di yoga per galline, e una manciata di quinoa che, giuro, mi guardava con aria di superiorità. Tutto preciso, tutto bilanciato. Eppure, mentre misuravo quel quarto di carboidrati con la bilancia – sì, sono arrivata a quel livello di ossessione – mi sono chiesta: ma chi me lo fa fare? Sto davvero trovando l’armonia o sto solo giocando a Tetris con il cibo?

Non fraintendermi, capisco il tuo vibe. Quel momento in cui guardi il piatto e pensi “ehi, sto creando qualcosa di bello, sto nutrendo il mio tempio”. Ma poi arriva il pomeriggio, e il tempio vuole uno snack. E non uno di quelli sani, tipo una carota che ti guarda con aria di sfida. No, vuole qualcosa che non si possa fotografare per Instagram senza sensi di colpa. E lì inizia la vera pratica yoga: respirare profondamente e convincersi che un cucchiaino di burro d’arachidi non rovinerà tutto.

Sai qual è la parte più ironica? Che questa cosa delle porzioni, questo dialogo con il piatto, funziona. Lentamente, certo, ma funziona. I jeans non mentono, e nemmeno lo specchio. Però, cavolo, quanto è faticoso essere così zen davanti a una ciotola di cavolo rosso. Ogni tanto vorrei solo urlare “basta con questa armonia!” e buttarmi su un piatto di lasagne. Ma poi penso a quel mezzo centimetro in meno sulla pancia e mi dico: ok, forse vale la pena continuare a scolpire.

Il mio piatto di oggi? Spinaci, salmone – perché, sai, gli omega-3 sono i miei nuovi guru – e un po’ di farro che ho cotto con la stessa pazienza di un monaco tibetano. Niente foto, però. Non sono ancora al livello di trasformare il mio pranzo in un’opera d’arte da social. Magari domani, se la luce è giusta e il mio umore non mi spinge a razziare la dispensa.

Dimmi, tu come fai a non cedere quando il tuo stomaco fa la ola per i carboidrati? E, soprattutto, come convinci quel cavolo rosso a sembrare appetitoso? Perché io, per ora, sono ancora nella fase in cui lo guardo e penso: “Davvero, tu sei il mio futuro?”
 
Ehi, Mr Sky, che poesia il tuo piatto che parla e quella ciotola che sembra un quadro! Leggerti è come aprire una finestra su un mondo dove il cibo non è solo cibo, ma una specie di rituale per volersi bene. Però, sai, io vengo da un’altra scuola, quella del “non mischiare, per carità!”. Sono una fan sfegatata del mangiare separato, e il tuo post mi ha fatto venir voglia di raccontarti come funziona il mio dialogo con il piatto, che è più un monologo con regole ferree.

Oggi, per esempio, ho guardato il mio pranzo e ho pensato: ok, qui ci vuole strategia. Niente Tetris come il tuo, ma una specie di scacchiera dove ogni alimento ha il suo posto e, soprattutto, il suo momento. Ho iniziato con una ciotola di verdure crude – carote, finocchi, cetrioli, che croccavano come se fossero vivi – perché, nella mia filosofia, le verdure sono le regine che aprono la partita. Poi, pausa. Niente proteine o carboidrati a confondere lo stomaco. Dopo un’oretta, via con il secondo atto: un filetto di merluzzo al vapore, cotto con un filo d’olio e limone, che sembrava quasi troppo elegante per il mio tavolo. I carboidrati? Quelli arrivano stasera, probabilmente un po’ di riso basmati, perché mischiare tutto insieme, per me, è come mettere Mozart e il rock nello stesso concerto: un disastro.

All’inizio, confesso, sembrava una follia. Chi ha il tempo di mangiare in “turni”? E poi, perché complicarsi la vita? Ma poi ho notato che il mio stomaco, che prima si lamentava come un vicino arrabbiato, ha iniziato a ringraziarmi. Niente più gonfiore, niente più quella sensazione di aver ingoiato un mattone. È come se il corpo mi dicesse: “Finalmente hai capito come funziono!”. E, sorpresa, anche la bilancia ha iniziato a collaborare. Non che sia il mio unico obiettivo, ma diciamo che un jeans che non ti strizza come un limone è un bel bonus.

Leggendo del tuo cavolo rosso e del tuo tacchino, mi sono chiesta: ma tu come fai a non mischiare tutto quando il profumo del pollo chiama il riso come in una storia d’amore? Perché io, se vedo proteine e carboidrati sullo stesso piatto, sento una vocina che mi dice: “Pericolo! Indigestione in arrivo!”. È per questo che il mio piatto è sempre minimalista, quasi monacale. Oggi, per dire, le verdure erano sole solette, e il merluzzo non ha nemmeno osato guardare una patata. Eppure, non mi sento privata. Anzi, è come se ogni alimento avesse il suo momento di gloria, e io lo gusto di più.

Non fraintendermi, non sono una talebana del mangiare separato. Ogni tanto, quando sono a cena fuori, cedo e mangio un piatto “normale”. Ma poi il mio corpo mi guarda come un professore deluso e mi fa: “Te l’avevo detto”. E allora torno alle mie ciotole separate, alle mie pause tra un gruppo alimentare e l’altro, e tutto torna in armonia. Non è solo una questione di peso, anche se, come dici tu, il corpo che si alleggerisce è una bella ricompensa. È più una sensazione di controllo, di sapere che sto dando al mio corpo quello che gli serve senza sovraccaricarlo.

Il tuo salmone con spinaci e farro di oggi sembra una meraviglia, ma dimmi, non ti viene mai la tentazione di buttare tutto insieme e dire “al diavolo l’equilibrio”? E come fai a rendere il cavolo rosso un alleato invece di un nemico? Perché io, con le verdure, ho fatto pace solo quando ho imparato a non mescolarle con altro. Magari un giorno posterò una foto del mio pranzo – probabilmente solo finocchi e un’aria molto zen – ma per ora mi limito a immaginarti mentre scolpisci la tua statua, un boccone alla volta. Continua così, e raccontami: qual è il prossimo colore che metti nel tuo piatto filosofico?